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salotto culturale del jazz

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Il Cool Jazz

Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, fu lo stile cool che raggiunse una grande popolarità. C’erano sempre meno locali nella 52° strada di New York in cui si suonava della buona musica e questa andava riscoperta in qualcosa di nuovo. Le innovazioni dei bopper dovevano essere digerite, ripensate semplificate in una musica più fluida e dolce.

Ci sono molte analogie tra il cool e quello delle grandi orchestre swing, ma questo stile non può essere annoverato uno stile dei bianchi. Swing è un verbo che significa un modo di reagire alla musica o a qualsiasi cosa nella vita. Essere cool, freddo, significava essere calmi, distaccati dall’orrore quotidiano che il mondo preservava, e per i neri di quel periodo, l’orrore poteva essere la mentalità mortalmente noiosa che l’America bianca continuava a preservare. 

Questa calma, stoica repressione della sofferenza, è antica quanto l’ingresso del nero nella società schiavista, ma può affondare le radici anche molto più lontano, per giungere fino all’africano che accetta e incorpora pragmaticamente le divinità del vincitore fra le proprie. Probabilmente sono questa flessibilità e questa calma che hanno concesso al nero di sopravvivere, questa capacità di essere freddo, distaccato, non impressionabile, forse per rendere il proprio fallimento il più segreto possibile. L’unico rapporto giusto con un mondo irrazionale è la non partecipazione.

Pur facendo proprie alcune delle acquisizioni dell’allora imperante bebop, il cool jazz ne fornisce una versione più rilassata, per certi versi cantabile, priva di alcune asprezze armoniche e dalle linee melodiche meno involute, con non pochi riferimenti alla musica eurocolta. Lennie Tristano faceva una musica il cui gioco dei bassi, i movimenti fugati e il rigore compositivo, conferivano alle sonorità un’eleganza settecentesca più vicina a J.S.Bach che a Charlie Parker. Una nuova musica più vicina ai valori europei, più evoluta e sofisticata, che costituì una rilettura in chiave bianca di molte innovazioni irruenti del bebop nero. La sua espressione fu da molti considerata la risposta "bianca" al "nero" bebop, anche se tra i musicisti che contribuirono al suo successo vi furono in egual misura bianchi e neri. 

Come era accaduto per lo swing, anche per il cool furono i musicisti bianchi ad avere la meglio con riscontri di maggior successo nella società americana. Alcuni jazzman bianchi guardarono al bop, fin dall’inizio, come a un materiale magmatico, percepito estraneo per il semplice fatto di non essere nati nel ghetto di qualche grande città. 

Questo stile ebbe vita brevissima e non fortunata, una tappa nella storia del jazz. La cosa più interessante e forse un po’ bizzarra è che alcuni esperimenti e ricerche dei musicisti cool sembravano in quel periodo necessari, perché alcuni personaggi di diversa estrazione e luoghi differenti, anche geograficamente distanti (Europa e America), intrapresero simultaneamente gli stessi tentativi di innovazione creando un movimento univoco.

 “… penso che Tristano e quei musicisti del gruppo di Davis facessero cose molto simili a quelle che stavamo facendo noi sulla costa del pacifico. Era lo sviluppo naturale delle cose di quel periodo.” (D. Brubeck).

La breve stagione del cool jazz raggiunse il suo culmine intorno al 1949 e si concluse due o tre anni dopo.

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l'Hard  Bop

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Gli anni Cinquanta furono l’anticamera della protesta, della pornografia, delle rivolte giovanili, della violenza… il mondo cambiava pelle e i primi ad accorgersene furono gli artisti. A New York, nella continua contraddittorietà della vita, il monopolio musicale era gestito dai bianchi che, con i loro gruppi, catturavano l’attenzione delle riviste di musica specializzate. 

Verso la metà degli anni Cinquanta c’erano due schieramenti: da un lato i bianchi, sofisticati, musicali, calligrafici e intellettualistici, legati ancora all’estetica del cool jazz,  dall’altro c’erano i neri, noncuranti del pubblico, che ritrovarono la forza di riprendere il cammino attingendo ancora dalle origini del blues e dei canti religiosi, con un jazz improvvisato, più aggressivo e bruciante. Qualcuno, come Charlie Mingus, cercò di conciliare le due antitetiche concezioni, chiamando nei suoi laboratori (jazz workshop) musicisti bianchi e neri. 

Sul finire degli anni Cinquanta, ci fu una grande ripresa della produzione musicale e affermati musicisti come John Coltrane, Thelonious Monk e Sonny Rollins fecero del loro meglio per migliorare il proprio stile. Il jazz ancora modulava e questa volta in una forma più radicale. Ci troviamo davanti all'ennesima rivoluzione, molto condizionata dalle situazioni e dagli avvenimenti sociali che porteranno, verso la metà degli anni Cinquanta, al culmine di una musica più dura: l’hard bop. In contrapposizione al cool i musicisti neri adottarono le raffinate armonie del bop che lo avevano preceduto, rivitalizzando il sound con un ritorno un po' al vecchio jazz, quello più marcatamente nero, con un po' di ritmo swing, gospel e blues, eliminando le caratteristiche per cui il cool jazz era nato, cioè quel senso di rilassatezza e pacatezza. Il risultato era aspro, duro e graffiante, proprio come era il desiderio di affermarsi della gente di colore. 

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